Le panchine negate di Borgo

Il nastro rosso e bianco, quello della polizia per intenderci, avvolge ogni panchina di Borgo San Dalmazzo. Legato ad alberi e pali della luce delimita le aree verdi, gli spiazzi, le piazze. 

Dovunque ci sia un posto per sedersi all’aperto adesso c’è quell’ingombro. Panchine solitarie sono state avviluppate per non lasciare nemmeno più un centimetro di spazio utile. Le vedi nelle le vie del centro come nei quartieri periferici. Le vedi da lontano, luccicano al sole di questi giorni di aprile. Dopo la pioggia e il freddo della scorsa settimana è ancora più evidente.

La sensazione, e non me ne voglia il sindaco che pure conosco e stimo, è avvilente. Certo il nastro è stato messo per un motivo, un motivo molto semplice. Il Comune vuole che la gente stia a casa. Vuole che si esca di casa il meno possibile. E’ una motivazione ineccepibile. Ma pur comprendendo, razionalmente, l’intento, c’è qualcosa che non va. La decisione, unica per quanto possa sapere tra tutti i Comuni della provincia, non trasmette altro che la banalità di una scelta meccanica e senza sentimento.

Guardo una panchina avvolta nel nastro e non mi viene in mente il bene della comunità, anzi, non posso fare a meno di pensare che sia solo l’esito della rigida logica della burocrazia, di una scelta fatta senza pensare, di una scelta non umana, la cosa più lontana che c’è dal senso di comunità e dall’impegno che deve essere condiviso delle persone. La panchina, pur essendo un oggetto inanimato, che si può chiudere come fosse una strada o un bar semplicemente mettendoci sopra un nastro, ha anche un grande valore simbolico. Magari non accessibile dalla razionalità delle norme ma che produce reazioni nel profondo della psiche delle persone.

La panchina è un simbolo di accoglienza, ti invita a sederti, a rilassarti, a riposarti anche mentalmente e magari per un minuto solamente. La panchina è nei nostri ricordi di ogni estate, del tempo rilassato e lento della vacanza, anche se non viene usata, anche se le regole oggi impongono di stare a casa il più possibile. Negare tutto questo, tra l’altro in un modo così visibilmente violento, non fa altro che ribaltare quelle sensazioni e trasformarle nel loro opposto. La panchina non accessibile è questo: chiusura, tristezza, un senso pesante di angoscia. Quel nastro non ti invita a fare il tuo e l’altrui bene stando a casa, ti fa solo sentire ancora più distante e stranito.

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